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denti

Malocclusione: che cos’è?

L’importanza di avere denti ben allineati

Pochi di noi hanno la fortuna di nascere con denti perfettamente allineati ed avere, quindi, una corretta occlusione delle arcate dentali.
L’occlusione dentale è il modo in cui le arcate dentali raggiungono la massima intercuspidazione, ovvero il maggior numero di contatti tra un dente e l’altro. Questo e’ un meccanismo fondamentale per permettere il lavoro dei muscoli masticatori e la deglutizione senza intervento della lingua.

La bocca è un organo digestivo finemente sintonizzato e anche il minimo problema con l’allineamento dei denti può causare grossi problemi che vanno dalla comparsa di mal di denti a dolori alla bocca (tipica la mandibola che “scatta” o alla cervicale), con possibili problemi posturali, a problemi masticatori che possono influire sulla funzionalità dell’apparato digerente.

Quando i denti non sono ben allineati si parla di malocclusione.

Quali sono le possibili cause di una malocclusione?
La malocclusione viene provocata da diversi possibili difetti quali denti troppo affollati, troppo spaziati, spostati in avanti o all’indietro.

Le cause sono in primo luogo genetiche e di familiarità, questo perché i caratteri somatici della bocca e della mandibola e la posizione dei denti si tramandano di generazione in generazione e, troppo spesso, si interviene soltanto nei casi in cui il difetto di allineamento influisce in modo evidente sull’estetica del viso.

Oltre ai motivi genetici, anche le cattive abitudini dell’infanzia ed i cambiamenti che intervengono nel corso della vita possono indurre malocclusione.
Denti estratti, traumi, ponti odontoiatrici, possono disallineare i denti e provocare, o peggiorare, il disallineamento.

Bisogna, inoltre, prestare molta attenzione ai bambini.
Nella prima infanzia, la crescita scheletrica è molto veloce ed atteggiamenti o abitudini sbagliate come quella di succhiare il dito o usare troppo il ciuccio, possono rompere il delicato equilibrio armonico tra la spinta muscolare interna prodotta dalla lingua e le forze muscolari esterne prodotte dalle labbra e dalle guance portando così al disallineamento.

Quali i possibili trattamenti per la guarigione?
L’uso di un byte è quasi sempre risolutivo, sono rarissimi i casi in cui è necessario ricorrere alla chirurgia orale o maxillo facciale.

L’apparecchio, che l’ortodonzista studia appositamente per correggere il tipo di difetto presente, risolverà il problema in tempi più o meno brevi in base al tipo di difetto ed all’età del paziente.

In Adec siamo stati tra i primi in Europa a credere nell’utilizzo dell’apparecchio invisibile, che evita anche qualunque problema di estetica, con un processo costruttivo che parte da un esame computerizzato della bocca, grazie al quale  ne viene costruito un modello tridimensionale che evidenzia il difetto, o i difetti, da correggere.
Il modello computerizzato viene letto dai produttori (Invisalign – USA) che provvedono a costruire il byte invisibile, cioè del tutto trasparente, ed inviarcelo in Adec.
Il byte è facilmente rimovibile per consentire una migliore igiene orale ed è, come detto, invisibile ad occhio nudo.

ODONTOIATRIA

Parodontite: indietro nel tempo

I Romano-britannici avevano meno malattie gengivali di cittadini britannici moderni

Nonostante le cure ed i moderni trattamenti dell’odontoiatria, la popolazione romano-britannica, vissuta tra il 200 ed il 400 d.C., soffriva molto meno degli attuali sudditi di sua Maestà la Regina, di parodontite.

Sono rimasti un po’ tutti sorpresi, ma l’esame di oltre 300 teschi romano-britannici conservati a Poundbury, un paese situato nella Cornovaglia, praticamente un quartiere di Dorchester, da parte degli esperti  del King’College of periodontists, non lascia dubbi.

In epoca romana l’antica Poundbury, ritornata famosa alla fine degli anni 80 dello scorso secolo in quanto sede di un importante e controverso esperimento urbanistico, era un paese rurale con una popolazione autoctona molto “romanizzata” nel proprio stile di vita. Non che i problemi di salute non ci fossero, come nel resto d’Europa chi sopravviveva all’infanzia ed ad una adolescenza fatta di privazioni e malnutrizione, moriva comunque presto, l’aspettativa di vita superava di poco i 40 anni, sopratutto per le privazioni e le malattie infettive.

La parodontite però era quasi sconosciuta, come rivela lo studio pubblicato dal British dental Journal, che ha evidenziato come lo studio effettuato nell’antico cimitero romano-britannico di Poundbury rivela che solo il 5% dei 303 crani esaminati presenta i segni della “gum disease” la prodontite, in forma da moderata a grave. La sorpresa lascia di stucco, sopratutto pensando che la percentuale odierna di cittadini britannici che soffrono di parodontie è del 15%.

Tutta colpa del tabacco.
Dal momento che la popolazione romano britannica dell’epoca era geneticamente identica agli europei attuali e che l’incidenza del diabete, principale fattore di rischio endogeno per la parodontite, non era significativamente diversa in quella zona geografica, il dito è stato subito puntato verso il consumo di tabacco.

Gli antichi cittadini romano-britannici, infatti, non fumavano e, allo stesso tempo è da tempo confermato come il fumo  sia il principale fattore di rischio esogeno per la parodontite cronica.

Il dato è ancor più evidente se si pensa che gli esami hanno mostrato come fossero ben presenti i segni della forte diffusione di altre patologie della bocca.
Oltre il 50% degli esaminati aveva avuto carie estesa ed i denti presentavano evidenti segni di usura, presente fin dalla giovane età, come ci si aspetta di trovare in una popolazione la cui dieta era ricca sopratutto di cereali consumati, per lo più interi e, poco cotti.

Il professor Francis Hughes del King’s  College di Londra , responsabile dello studio, ha dichiarato: “Siamo stati molto colpiti dalla constatazione che le malattie gengivali sembravano  essere molto meno comuni nella popolazione britannico-romana che negli esseri umani moderni, nonostante il fatto che i nostri progenitori non usassero spazzolini da denti e non andavano dal  dentista come facciamo oggi.
Anche perché la malattia gengivale è stata trovata in nostri più antichi antenati, ad esempio nei resti mummificati in tombe egizie, e la si trova descritta in scritti Babilonesi, Assiri, Sumeri e, perfino, nella prima dinastia cinese, sviluppatasi oltre 2000 anni prima della nascita di Cristo. ”

Theya Molleson, co-autore dello studio dal Museo di Storia Naturale, ha dichiarato: “Questo studio mostra una notevole peggioramento della salute orale tra epoca romana e moderna Inghilterra sottolineando il probabile ruolo del fumo, in particolare nel determinare la suscettibilità alla parodontite progressiva .
Nelle  popolazioni moderne, dovremo studiare un metodo che vada ad indicare che la malattia può essere evitata: con la diminuzione del numero dei fumatori nella popolazione, dovremmo assistere ad  un declino della della malattia”.

 

gravidanza

Fumo in gravidanza: quali rischi per il nascituro?

Perché è bene non fumare durante la gravidanza

Abbiamo parlato molte volte dei danni che il tabacco produce e dei rischi per i fumatori.

Un aspetto ancora più grave riguarda i danni che il fumo può provocare ai bambini se i genitori sono fumatori  e, in particolare, se la madre fuma in gravidanza.
La lista dei possibili danni è davvero impressionante e parte dal rischio di parto prematuro fino ai rischi oncologici.
Eccone una sintesi:

- Parto prematuro: il fumo aumenta del 6,7% il rischio di parto anticipato. Il 15% delle nascite premature sono riconducibili al consumo di sigarette in gravidanza.

- Malformazioni: il feto è molto più sensibile dell’adulto all’effetto nocivo del fumo in quanto i suoi organi stanno ancora sviluppandosi, quindi sono più delicati.
Anche la disintossicazione dalle sostanze nocive è più difficoltosa, poiché nel feto i sistemi enzimatici che provvedono a questa funzione non sono ancora pienamente funzionali.
Se il feto è costretto a subire il fumo passivo il rischio di malformazioni fetali aumenta fino a raddoppiare, come nel caso della cheiloschisi (labbro leporino).

- Problemi di crescita: poiché la nicotina ha effetto vasocostrittore, si produce una riduzione del flusso sanguigno che, nel feto, ha conseguenze sul normale sviluppo e sulla crescita.
In media un bimbo che nasce da una madre fumatrice pesa dai 150 ai 350 grammi in meno, in base al numero di sigarette fumate ed avere un feto sottopeso, a differenza di quanto si potrebbe pensare, non semplifica il parto ma lo complica.

- Funzionalità polmonare: il fumo della mamma in gravidanza rallenta lo sviluppo polmonare del feto creando problemi  anche al neonato. Addirittura questi problemi  possono proseguire anche dopo la nascita tanto che spesso i  neonati devono essere disintossicati.

- Comportamento: uno studio tedesco su 362 bambini, di tipo prospettico, ha evidenziato che i figli di madri fumatrici hanno maggiori problemi comportamentali rispetto ai pari età figli di non fumatori.
In particolare, i risultati scolastici  si sono dimostrati sotto la media e, la presenza di disturbi caratteriali, 2-3 volte più elevata.
Pare inoltre che la nicotina, poiché danneggia i recettori cerebrali del feto, sia un fattore di rischio per la comparsa della sindrome ADHS, la sindrome della mancanza di attenzione ed iperattività.

- Rischio di tumore: la frequenza con cui i figli di genitori fumatori sono colpiti da tumori maligni è stata oggetto di uno studio del Centro tedesco di ricerca sul cancro. I ricercatori hanno valutato i dati del registro svedese del cancro, che raccoglie tutti i casi di cancro verificatisi nelle famiglie svedesi nel corso di diverse generazioni. I risultati sono allarmanti: se la madre fuma, il rischio di ammalarsi di cancro alle vie respiratorie o alla vescica è una volta e mezzo più alto; per il cancro del naso il rischio è quasi quattro volte superiore, per il cancro ai polmoni 1,7 volte.
Vescica e reni risultano particolarmente esposti alle sostanze cancerogene nella fase della crescita, mentre l’aumentato rischio di cancro al naso viene attribuito dai ricercatori al fumo passivo respirato durante l’infanzia.

Sembra anche che la responsabilità materna sia superiore a quella paterna, perlomeno per quanto riguarda il rischio di sviluppare alcuni tipi di tumori, come quello ai reni e quello alla vescica. Questo perché la maggior parte dei rischi è riconducibile alle sostanze di decomposizione della nicotina che il bambino riceve sia quando è ancora nella pancia della madre, che dopo la nascita, attraverso il latte materno.

ODONTOIATRIA

Trattamenti conservativi odontoiatrici: l’acido zoledronico

Un  farmaco per l’osteoporosi in grado di miliorare i trattamenti conservativi odontoiatrici

Si tratta dell’acido zoledronico, un farmaco della classe dei bifosfonati, utilizzato nella terapia dell’osteoporosi e nel trattamento del cancro delle ossa.

Lo scrive il Journal of Dental Research, pubblicando i risultati di una ricerca  dell’Università spagnola  CEU Cardinal Herrera, di Valencia, che ha coinvolto un team di ricercatori internazionali provenienti dal Brasile, dalla Finlandia,  dal regno Regno Unito e  dagli Stati Uniti.

Guidata dal Dr. Salvatore Sauro, docente di biomateriali, la ricerca ha dimostrato che l’acido zoledronico, se associato a biomateriali combinati con le resine adesive utilizzate in ambito odontoiatrico, riduce la degradazione del collagene favorendo la remineralizzazione del complesso resina-dentina.

Il professor Sauro, con più di quindici anni di esperienza nella ricerca sui biomateriali ad uso odontoiatrico, vanta anche di una vasta rete di collaborazioni internazionali con diversi centri di ricerca in tutto il mondo. La sua forte reputazione scientifica internazionale  gli ha permesso di diventare visiting professor presso l’Università Federale del Ceará, in Brasile, dove sta conducendo un progetto di ricerca per lo sviluppo di materiali da restauro innovativi con bioattivi e proprietà anti-batteriche.

In che modo agisce l’acido zoledronico?
L’acido zoledronico è un bisosfonato che agisce rallentando i processi di distruzione dell’osso, aumentandone la densità e diminuendone la quantità di calcio rilasciato dalle ossa nel sangue.
L’acido zoledronico viene utilizzato per prevenire o trattare l’osteoporosi nelle donne che hanno subito la menopausa ma anche per trattare l’osteoporosi negli uomini e per prevenirla in soggetti che assumono glucocorticoidi.

Date le sue proprietà, i ricercatori hanno pensato di utilizzarlo anche in odontoiatria conservativa per ridurre la degradazione del collagene della dentina e rafforzare il legame resina dentina favorendo la remineralizzazione.

La ricerca ha dimostrato che le proprietà dei materiali a base di resina di litio, possono essere potenziate quando sono impiegate in associazione con analoghi delle fosfoproteine che agiscono naturalmente sulla mineralizzazione della dentina, come l’acido zoledronico.

I ricercatori stanno ora lavorando su un imponente progetto di sviluppo di materiali bioattivi utili sia in nelle terapie odontoiatriche conservative che a scopo preventivo per contrastare i fenomeni patologici di degenerazione della dentina.

carie

Carie: è allarme bambini

Carie in  aumento in età infantile: il ruolo fondamentale della scuola

Nonostante le campagne informative, i consigli dei pediatri e l’attenzione degli odontoiatri, sembra che la carie, la patologia più diffusa su scala mondiale,  continui a mietere sempre più vittime, a partire dai bambini.

L’aumento dell’incidenza della carie nei più piccoli è stato valutato intorno al 15% e questo la dice lunga sulla gravità del problema.
I motivi sono le abitudini alimentare poco sane,  una dieta nella quale compaiono ancora troppi alimenti ad alto indice glicemico, snacks, dolcetti, bevande zuccherate, ed una scarsa attenzione all’igiene orale.

Si tratta di problemi sopratutto di tipo educativo, in particolare per quanto riguarda l’igiene orale.
Secondo i dati presentati dal Servizio studi dell’ Associazione Nazionale Dentisti Italiani (Andi), il 75,7% dei bambini italiani tra i 3 ed i 5 anni non è mai andato dal dentista, percentuale che scende a 35,2% per la fascia d’età compresa tra i 6 ed i 10 anni e al 20,1% per i ragazzi tra gli 11 ed i 13 anni.
Questi dati indicano che ancora troppi genitori sono convinti che i problemi ai denti caduchi non abbiano bisogno di essere trattati, dal momento che i denti nuovi spunteranno sani.
Nulla di più falso e più pericoloso, considerando che è ampiamente dimostrato il contrario ed è anche facilmente intuibile che un dente nuovo, come tutto il nostro corpo, resterà sano molto poco se vive in un ambiente dove l’igiene è scarsa.

Come sempre, il miglior rimedio è la prevenzione e, per arrivare ai bambini, tanto può essere fatto dall’ambiente educativo per eccellenza, la scuola, a cominciare dall’educazione all’igiene della bocca.
Insegnare ai bambini, sin dalla primissima infanzia,  l’importanza di lavare i denti dopo i pasti, insegnare il giusto modo di spazzolarli, diffondere l’uso del filo interdentale sono tutte operazioni educative di grande importanza se comunicate a scuola e vissute insieme ai coetanei che consentono ai bambini di interiorizzare un’abitudine importante ed estremamente salutare.

Per questo motivo ADEC, ormai da anni, organizza corsi di igiene orale dedicati ai più piccoli sia nei nostri studi che in collaborazione con le scuole primarie che desiderano aderire.

 

carie

Carie: addio trapano

Addio al trapano: le carie verranno eliminate con un getto di gas

La notizia arriva dall’autorevole Journal of Microbiology e promette di essere rivoluzionaria per i dentisti ma soprattutto per i loro pazienti.
Nel giro di tre, massimo cinque anni, il trapano potrebbe essere solo un brutto ricordo, questo perché i denti cariati verranno trattati con dei lampi di gas al plasma, freddi ed innocui che in pochi secondi spazzeranno via germi e tessuto infetto, il tutto senza alcun contatto fisico tra lo strumento ed il dente, quindi in modo totalmente indolore.
Inoltre, i getti di plasma agiranno esclusivamente sui tessuti danneggiati senza intervenire sulla parte sana del dente che non rischierà quindi alcuna compromissione.

Oggi  sono allo studio diverse strade per eliminare il trapano del dentista, che probabilmente è il motivo principale per cui ancora oggi moltissime persone  rifiutano di farsi curare i denti.
Si pensa, ad esempio, di sostituire il trapano con il laser, ma la soluzione di bombardare l’infezione con getti di plasma, studiata da un’equipe di specialisti dell’Università di Amburgo, sembra più che una promessa.

Tecnicamente, il gas plasma consiste di un insieme di particelle cariche prodotte dall’azione di un forte campo elettromagnetico su acqua ossigenata vaporizzata, ovvero la stessa tecnica che viene utilizzata  nella pratica della sterilizzazione di strumenti chirurgici sensibili al calore.
I test sono stati effettuati in laboratorio ma utilizzando dentina estratta da denti umani e ‘cariata’ dai principali batteri della carie. Un bombardamento, per un massimo di 18 secondi, è  bastato ad eliminare il tessuto infetto.
La quantità di batteri eliminati, infatti, è direttamente proporzionale alla durata del bombardamento al plasma.

La totale mancanza di contatto fisico tra lo strumento ed il dente, unita al fatto che il processo avviene a freddo, rende l’operazione completamente indolore e dovrebbe consentire, finalmente, a tutti di dimenticarsi della paura che ancora oggi ci assale al solo pensiero di doversi “accomodare”  sulla poltrona del dentista.

Ma c’è un’altra notizia che, se supererà i test e verrà confermata, potrebbe fare la gioia dei pazienti odontoiatrici.
Un’equipe di ricercatori del Leeds Dental Institute ha scoperto una proteina che permette di riparare in modo naturale lo smalto dentale danneggiato. La proteina, secondo gli scienziati, è in grado di  “richiamare” e far affluire i minerali che formano lo smalto ricreando, praticamente, lo stesso processo fisiologico che porta alla nascita ed allo sviluppo dei denti definitivi.

Anche in questo caso tra tre, quattro anni potremmo saperne di più.

denti carie

Esercizio fisico: aumento del rischio carie?

Esercizio fisico e carie: una strana relazione

Forza e coraggio, popolo di sedentari, da oggi in poi se qualcuno dovesse ancora criticarvi per l’abitudine di restare sdraiati sul divano invece che correre nel parco, potrete fieramente rispondere che la vostra non è pigrizia o mancanza di amore verso se stessi ma che invece si tratta di una consapevole una scelta salutistica, in particolare per quanto riguarda la salute dei denti.

Si perché un recente studio ha messo in evidenza come gli atleti abbiano maggiori possibilità di essere soggetti a carie dentale.
Lo sostiene un gruppo di ricercatori universitari tedeschi che ha esaminato un campione di 70 persone comprendenti  sia  soggetti che praticano una regolare attività fisica che persone con abitudini sedentarie.

La ricerca ha mostrato che tra i praticanti regolari, nel gruppo c’erano atleti agonisti nella disciplina del triatlon,  il rischio di carie era sensibilmente più alto rispetto a quelli che non praticano attività fisica, tanto che è stato possibile accertarne un aumento regolare per ogni ora in più di allenamento.
L’evento scatenante, stando ai ricercatori, potrebbe essere l’ambiente più favorevole allo sviluppo dei batteri  della bocca, provocato dal maggior consumo energetico che alcalinizza la saliva.

Anche se i risultati non sono definitivi e vanno approfonditi, i ricercatori ritengono che l’aumento del rischio sia un dato di fatto accertato e che chi pratica regolarmente attività sportiva debba curare con maggiore attenzione la propria igiene orale per evitare problemi ai denti.

Tuttavia c’è molto scetticismo negli ambienti medici ed odontoiatrici, non tanto sui risultati dello studio quanto sulle cause.

Molti ritengono che il motivo del maggiore sviluppo della flora batterica orale, alla base dell’aumento del rischio di carie, non sia dovuto a variazioni del ph indotte dall’esercizio fisico, quanto alla diffusa abitudine degli atleti di compensare la fatica bevendo gli ormai diffusissimi energy drinks, bevande molto zuccherate quindi altrettanto dannose perla salute orale.

parodontite denti

Parodontite: le nuove ricerche

Nuove ricerche e scoperte per la lotta alla parodontite

Abbiamo già parlato, diffusamente, della parodontite, patologia grave che porta alla perdita dei denti e che, secondo i dati ufficiali dell’OMS, colpisce il 60% degli adulti sull’intero pianeta. Questa patologia è sempre più sospettata di poter innescare altre patologie ancora più gravi come quelle del sistema cardiocircolatorio, l’artrite reumatoide, il morbo di Alzheimer.

Data la grande diffusione, l’impatto sulla salute è potenzialmente devastante anche per i sistemi sanitari dei paesi più avanzati ed è per questo che l’Unione Europea ha recentemente finanziato un programma, chaimato TRIGGER, grazie al quale undici Istituti di ricerca di nove paesi europei, hanno iniziato uno studio mirato sugli agenti patogeni della parodontite.

L’obiettivo è quello di spiegare e dimostrare le connessioni tra parodontite e altre malattie infiammatorie e che un efficace e corretta igiene orale può avere effetti importanti anche sullo stato della salute fisica generale.

Un compito particolare del progetto comune è stato affidato al Dipartimento di Drug Design e Validation Target dell’Istituto Fraunhofer per la terapia cellulare e l’immunologia IZI: i ricercatori tedeschi mirano a sviluppare sostanze che possono essere utilizzate per trattare efficacemente i germi patogeni orali.

La competenza del Gruppo consiste nell’individuare i meccanismi patologici operanti a livello proteico e trovare farmaci adatti sulla base di queste intuizioni: “Stiamo cercando i principi attivi per combattere i batteri, altamente tossici, conosciuti come Porphyromonas gingivalis. Questo agente patogeno aggressivo risiede nelle tasche gengivali ed il principale responsabile della gengivite, che può portare allo sviluppo della parodontite “, spiega il Dr. Hans-Ulrich Demuth, responsabile del gruppo di progetto tedesco ed in precedenza coautore di una ricerca che ha progettato un piano di trattamento per il diabete, legata all’età, che è attualmente sul mercato.

Lo Porphyromonas gingivalis si insedia nel collagene nella cavità orale e distrugge il tessuto connettivo della gengiva attivando un enzima proteina-degradante, la glutaminylcyclase batterica, che è coinvolto nella formazione delle proteine​​. I ricercatori hanno scoperto che ha un ruolo essenziale nella immuno-reazione abnorme propria di alcune malattie ed è coinvolto in malattie infiammatorie, come l’artrite reumatoide, la BPCO, e il morbo di Alzheimer anche se i meccanismi d’azione devono ancora essere spiegati. Il biochimico e il suo team sono quindi alla ricerca di una sostanza inibitrice che riduca al minimo l’azione dell’enzima.

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Protesi: di notte aumenta il rischio polmonite

L’importanza di una corretta igiene orale come prima prevenzione.

Se avete una certa età e siete portatori di protesi dentali ed avete l’abitudine di dormire senza toglierla, sarà meglio per voi perdere questa cattiva abitudine o potrete incorrere in problemi polmonari, anche gravi.

Lo sostiene un recente studio del team di ricerca giapponese della Nihon University School of Dentistry, reso noto dalla International and American Associations for Dental Research che lo ha pubblicato con molto rilievo sulla sezione on line del  Journal of Dental Research.

Lo studio ha interessato 524 persone anziane con un’età media di ottantasette anni, selezionate in modo casuale. Sono stati osservati i loro comportamenti in merito ad abitudini ed igiene orale, ed i casi di ospedalizzazione e di morte.

Lo studio ha dimostrato che chi dorme indossando la protesi ha un rischio superiore di contrarre la polmonite rispetto a chi dorme senza. E’ noto che gli anziani sono più a rischio polmonite e la scarsa salute orale, dovuta principalmente alla scarsa igiene, è un fattore che ne aumenta ulteriormente il rischio.

I ricercatori giapponesi, partendo da questi presupposti, hanno voluto esaminare  se i rischi potessero aumentare qualora la protesi dentale non venga rimossa quotidianamente.

Tra i soggetti esaminati ci sono stati quarantotto episodi,  durante il periodo della ricerca, con venti decessi e ventotto ospedalizzazioni. Tra i 453 portatori di protesi presenti nel gruppo esaminato, centoottantasei la portavano anche di notte. Quest’ultimo gruppo si è mostrato quello più colpito dagli incidenti e dal rischio di polmonite, sopratutto a causa della scarsa igiene orale dovuta al fatto che la protesi non veniva tolta ed igienizzata.

Questi pazienti, infatti, hanno anche mostrato un livello più elevato di infezione orale, la presenza di candida albicans  e livelli più elevati di circolazione di  interleuchina-6.

L’interleuchina-6  è una molecola proteica prodotta da vari tipi di cellule, in particolare da quelle immunocompetenti – come i linfociti T ed i macrofagi - in risposta a traumi o a danni tissutali. La sua presenza in dosi elevate indica, di conseguenza, che mantenere troppo a lungo la protesi in bocca provoca traumi che indeboliscono i tessuti del cavo orale.

Lo studio intende anche sensibilizzare sia i medici che gli anziani ed i loro familiari sull’importanza di inserire le pratiche di igiene orale nel protocollo di prevenzione della polmonite negli anziani.

 

oil

Oil pulling: olio sui denti?

Medicina ayurvetica: l’oil pulling funziona davvero?

E’ una pratica orientale dalle origini molto antiche che, recentemente, ha iniziato a prendere piede anche in occidente con il nome di oil pulling.

Si tratta di fare risciacqui utilizzando olii naturali: sesamo e cocco quelli consigliati e più utilizzati ed i sostenitori garantiscono un effetto battericida e sbiancante.

Come detto è una pratica diffusa in oriente ma proviene dall’India e si deve alla medicina ayurvedica, pratica di medicina indiana che si basa sulla guarigione naturale e che estende a tutto il corpo l’impiego di oli curativi.

Sicuramente non è adatta per chi è abituato a fare tutto in fretta, perchè richiede tempo e pazienza. Addirittura, secondo alcune fonti, per ottenere risultati è necessario  tenere  l’olio in bocca, almeno 2 volte al giorno, per un minimo di 10 minuti e fino a 20.

Secondo il Dr. Amala Guha, immunologo presso l’Università del Connecticut e presidente della Società Internazionale per l’Ayurveda e la salute bastano, inizialmente, due sessioni di  4 minuti. Inoltre spiega che la tecnica della guarigione naturale, base della medicina ayurvedica, si basa su testi risalenti all’800 a.C ed è utilizzata in molte zone del mondo, anche se la medicina occidentale non ne riconosce la validità.

In Ayurveda, molti liquidi diversi possono essere utilizzati a seconda delle condizioni da trattare e la fisiologia della persona: latte, miele ed erbe contenenti acqua calda sono solo alcuni degli altri mezzi, spiega il dr. Guha.

Per tornare alla salute della bocca, la tecnica dell’oil pulling va eseguita seguendo le 2  specifiche pratiche previste nei testi di ayurvedica:

- la tecnica Kavala: consiste nel tenere in bocca l’olio per due minuti prima di fare un risciacquo e poi sputarlo fuori. L’operazione dovrà essere ripetuta  2- 3 volte al giorno.

- la seconda tecnica Gandusa: prevede di tenere in bocca l’olio più a lungo, fino a 5 minuti, prima di sputarlo e ricominciare il processo.

Il Dr. Guha spiega che i risultati sono attesi nell’arco di pochi mesi e che è molto importante praticare in modo corretto per evitare effetti collaterali come secchezza delle fauci, sete eccessiva, perdita di gusto nella bocca. Sempre secondo il dr. Guha,  uno studio condotto su 20 praticanti, ha mostrato una riduzione della placca e della presenza dello streptococco mutans.

Questo potrebbe essere dovuto, se l’olio usato è quello di cocco, al suo contenuto di acido laurico, un acido del quale sono  note le proprietà battericide.

Tuttavia gli ambienti medici e scientifici non riconoscono alcun credito a queste pratiche. Gli studi sono troppo pochi ed effettuati su un numero di soggetti troppo limitato, dicono ad esempio dalla New York University, perché si possano riconoscere gli eventuali effetti curativi della medicina ayurvedica,  anche se non sono noti effetti negativi.

Il consiglio degli esperti è di provare pure se siete attratti dalle tecniche curative naturali, ma non dimenticate di usare comunque il filo interdentale.