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Il vino rosso contro la carie

In alto i calici, sempre con prudenza e moderazione, per un brindisi ai ricercatori dell’Università di Pavia un cui recente studio spiega come un bicchiere di vino rosso a pasto, perché no dell’Oltrepò pavese, sia non solo piacevole, ma anche utile a combattere i propositi cariogeni dello Streptococco mutans, uno dei batteri del cavo orale più agguerriti ed aggressivi nei confronti dello smalto dei denti.

Ancor più soddisfatti saranno coloro che prediligono il vino rosso a scapito del bianco, visto che una precedente ricerca aveva condannato il vino bianco, nocivo per la bocca per il suo alto grado di acidità.

I batteri del cavo orale

Lo streptococco, come gli altri batteri presenti nel cavo orale, si lega allo zucchero contenuto negli alimenti, utilizzando i residui di cibo rimasti dopo la masticazione, attaccando lo smalto con azione demineralizzante. Durante l’esperimento i ricercatori hanno verificato come il vino abbia il potere di bloccare lo streptococco mutans prima che riesca a legarsi agli zuccheri.

Uva, non alcol…

Attenzione però…. riponete subito la bottiglia. L’alcol non ha, nemmeno in questo caso, alcun effetto benefico. I ricercatori hanno infatti condotto l’esperimento in laboratorio utilizzando sia del comune vino rosso, quindi alcolico, sia ripetendo lo stesso esperimento esponendo i batteri al contatto con vino privato della componente alcolica. I risultati sono stati identici confermando che non è l’alcool ad avere proprietà antibatteriche.

E’ stato provato che l’azione antibatterica è merito delle protoantocianidine, un composto di sostanze antiossidanti presenti nella buccia dei grappoli di uva rossa, ed è stato altrettanto provato che se il vino ha una gradazione alcolica elevata, gli acidi e gli zuccheri potrebbero essere presenti in quantità tale da ridurre o annullare l’azione protettiva delle protoantocianidine.

L’interesse dei ricercatori si sposta quindi sulle possibili applicazioni pratiche di questa scoperta. Sono annunciati nuovi studi per cercare di isolare questi composti e renderli utilizzabili al di là della loro presenza nel vino rosso. L’eventuale successo potrebbe portare alla produzione di una nuova famiglia di prodotti con potenziale anticariogeno molto elevato.

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Odontoiatria e medicina estetica

l’ANDI firma il position statement preparato dal Collegio delle Società Scientifiche di medicina estetica

L’odontoiatria è sempre più impegnata anche in ambito estetico. Per questo motivo l’ANDI, la principale associazione degli odontoiatri italiani, ha firmato il documento di lavoro messo a punto dal Collegio delle Società Scientifiche di Medicina Estetica, a cui aderiscono le più importanti società scientifiche operanti nel settore, in modo da offrire regole ed indicazioni di lavoro che garantiscano efficacia e qualità delle terapie.

Andi e CISME hanno inteso procedere congiuntamente ad esaminare l’intera questione dal punto di vista clinico, legale e medico-legale raggiungendo una comune interpretazione delle norme quindi dei limiti e delle facoltà dell’odontoiatra nei trattamenti di medicina estetica.

L’importanza del documento congiunto

Il position statement definisce gli ambiti di competenza e condivisione dei percorsi clinici e terapeutici. Definisce i percorsi fomativi e gli standard terapeutici.

Ha come obiettivo quello di offrire ai pazienti soluzioni terapeutiche efficaci, sicure fornite da personale altamente professionalizzato e costantemente aggiornato, che rispetti e valorizzi le diverse professionalità coinvolte.

Sono, come si vede, obiettivi di grande rilevanza ed assolutamente necessari vista l’importanza che i trattamenti di medicina estetica possono ricoprire integrandosi con il percorso clinico più propriamente odontoiatrico.

Altrettanto importante la valorizzazione dell’integrazione tra due specializzazioni cliniche i cui percorsi formativi sono, in tutta evidenza, profondamente diversi. Valorizzazione che, secondo quanto previsto nell’accordo, avverrà grazie ad appositi percorsi formativi, ben definiti e rispettosi delle diverse professionalità.

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Metabolismo e obesità

Pochi di noi sanno veramente cos’è il metabolismo anche se è molto diffusa la convinzione che al metabolismo “lento” sia associata l’obesità ed a quello veloce la difficoltà di aumentare il peso.
Queste convinzioni possono portare a comportamenti sbagliati con possibili risvolti dannosi per la salute.

In America la preoccupazione è tale che un gruppo di studiosi di Shape Up, organizzazione no profit, ha pubblicato un vero e proprio vademecum per aiutare a comprendere meglio il metabolismo e a riconoscere eventuali problemi ad esso legati.

Metabolismo basale

Come detto sopra, se è “lento” è ritenuto la causa della difficoltà a perdere chili, ma non è così.

Il metabolismo basale è la quantità di energia che l’organismo utilizza nelle sue funzioni vitali come respirazione, battito cardiaco, circolazione del sangue… è diverso per ciascuno di noi ed è una cosa su cui non si può intervenire.

In altre parole è “naturalmente regolato”, con parametri diversi legati al sesso, all’età, alla massa corporea e può essere alterato in presenza di patologie specifiche come quella tiroidea.

Il consumo energetico può aumentare o diminuire in accordo con i parametri sopracitati. Una persona alta, ad esempio, avrà una “spesa metabolica” più alta di uno basso perché il sangue effettua un percorso più lungo, così come un body-builder deve nutrire una massa muscolare molto estesa ma il vero problema è conoscere il proprio bilancio energetico.

Perché si ingrassa: sedentarietà e bilancio energetico

L’obesità non è dovuta al ritmo del metabolismo basale ma allo squilibrio tra energia accumulata ed energia spesa.

L’energia accumulata dipende dalla quantità e dalla qualità del cibo assunto mentre l’energia spesa e la somma di quella utilizzata per il metabolismo basale, che incide per il 60-70% della spesa energetica totale, più quella utilizzata per l’attività fisica volontaria.

L’abbondanza di cibo e la tendenza alla sedentarietà fanno si che il bilancio energetico sia squilibrato in favore dell’energia accumulata che porta ad accumulare chili di troppo.

Conoscere il metabolismo basale per personalizzare la dieta

Conoscere il proprio ritmo metabolico diventa quindi molto importante per calibrare al meglio le calorie della propria dieta.

Il metabolismo si può misurare grossolanamente utilizzando peso, età, sesso ma per ottenere una misura precisa si può usare la calorimetria, un esame da svolgere a riposo con il quale si quantifica l’ossigeno consumato e l’anidride carbonica prodotta, che sono correlati al dispendio energetico.

Dal momento che il metabolismo è proporzionale alla massa corporea si può valutare la composizione corporea anche con l’impedenziometria, un test che misura la resistenza dei tessuti al passaggio di una piccola corrente informando così sulla quantità di massa grassa e magra presenti.

Normalmente si riscontrano differenze minime tra metabolismo “lento” e veloce”, differenze che non giocano alcun ruolo nell’accumulo di chili, in caso contrario sarebbe bene verificare la funzionalità della tiroide, ghiandola fondamentale nella regolazione del metabolismo.

Quindi non resta che tenere d’occhio il proprio bilancio energetico, scegliere un paio di scarpette molto comode e cominciare a correre.

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Calcio per dimagrire

Come molti sanno il calcio, uno dei metalli più diffusi sulla terra, è un elemento essenziale per la vita.
Nel corpo umano il calcio pesa circa 1 kilogrammo ed è concentrato per il 99% nelle ossa e nei denti, da cui si capisce facilmente l’importanza di questo metallo per la crescita, lo sviluppo e la salute del corpo.

Si assume con la dieta ed è noto che gli alimenti più ricchi di calcio sono il latte ed i suoi derivati ma, visti i numerosi dibattiti tra nutrizionisti sui pro ed i contro di una dieta ricca di latte e latticini, è bene ricordare che il calcio può essere assunto anche con il pesce azzurro ed alcuni crostacei e con diversi vegetali come spinaci, cicoria, radicchio, rucola o frutta secca come le mandorle.

La maggior parte del calcio assunto con la dieta viene eliminato, solo il 30% viene assorbito, è quindi necessario dosare la dieta in modo che la quantità di calcio assunta sia sempre pari al fabbisogno.

Il calcio fa dimagrire?

Fin qui sono tutte cose più o meno risapute.
L’elemento di novità lo fornisce la pubblicazione di uno studio danese, da parte dell’autorevole American Journal of Clinical Nutrition, nel quale viene presentata la funzione del calcio come regolatore del peso corporeo.
Lo studio, segnalato in Italia dai produttori di integratori alimentari, è stato effettuato su un campione di 7569 persone ed ha evidenziato che per ogni 1000 mg di calcio assunto ci sia una riduzione di peso pari a 0,076 kg.

La ricerca danese conferma quanto già osservato in proposito in un precedente studio americano.
In questo studio si era ipotizzato l’effetto antiobesità del calcio grazie al meccanismo di soppressione del calciotriolo che determina una riduzione del calcio presente negli adipociti ed una diminuzione della produzione di grassi.

Secondo lo studio danese, anche se i meccanismi d’azione non sono ancora noti e dovranno essere studiati approfonditamente, l’interazione del calcio con la vitamina D interferisce positivamente stimolando la lipolisi cioè il processo di scioglimento dei grassi.

Questo processo, innescato da livelli alti di calcio, sarebbe quello di agire direttamente sulla forma attiva di vitamina D che, a sua volta, porta ad una bassa concentrazione di calcio nelle cellule. Potrebbe essere questo meccanismo a stimolare la lipolisi e inibire l’accumulo di grasso nelle cellule adipose.

Queste scoperte dovranno ancora essere oggetto di studio per trovare spiegazioni complete che ne confermino definitivamente la veridicità, tuttavia gli scienziati sono certi che la strada sia quella giusta e che, alle tante proprietà del calcio, dovrà essere aggiunto anche quella di regolatore del peso corporeo.

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Nanodiamanti per i denti

E’ stata recentemente pubblicata sul Journal of dental research ed è frutto di uno studio congiunto tra ricercatori americani della California University e giapponesi del NanoCarbon Research Institute di Nagano, quella che promette di essere una nuova rivoluzione offerta dalle nanotecnologie.

Quando si parla di nanoteconologie è bene ricordare che si sta parlando di tecniche che permettono di manipolare la materia a livello molecolare, quindi si parla delle dimensioni più piccole a cui si riesce ad arrivare, appunto nanometriche.

Secondo lo studio, i nanodiamanti, ottenuti come prodotti collaterali del processo di estrazione diamantifera, permettono di somministrare più rapidamente e più a lungo le proteine già utilizzate in odontoiatria per risolvere problemi legati alla stabilità degli impianti.

Ma non solo, i nanodiamanti promettono di essere particolarmente importanti per l’odontoiatria del prossimo futuro.

Per prima cosa, dicono i ricercatori, sono ben tollerati dall’organismo. In secondo luogo possono essere somministrati in modo non invasivo, con un’iniezione o ancora più semplicemente per via orale.

I nanodiamanti hanno la particolarità di legarsi velocemente all’osso e, grazie alla particolare struttura superficiale, hanno la proprietà di rilasciare lentamente le proteine. Questo li rende particolarmente efficaci nei processi di rigenerazione ossea come nel caso, citato prima, dell’implantologia.

Ma gli utilizzi nel campo dell’odontoiatria, così come in tutti i settori della medicina rigenerativa, potrebbero essere molteplici a partire dalla terapia per l’osteonecrosi, una malattia che colpisce la mascella e crea gravi difficoltà nel parlare e nel mangiare.

Anche nelle terapie antitumorali i nanodiamanti potrebbero essere di grande efficacia per la capacità di rilasciare molto lentamente i farmaci a cui sono stati legati.

E’ in corso di sperimentazione, per pazienti affetti da tumori , la somministrazione di chemioterapie basate sull’applicazione di cerotti medicati e con la superficie ricoperta da nanodiamanti. Sembra che Il rilascio più lento renda più efficace la cura e più sopportabile il trattamento per il paziente.

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Alitosi e alimentazione

L’alito cattivo è un fenomeno sgradevole ed imbarazzante a tal punto da essere causa di esclusione sociale.
Colpisce moltissimi adulti, senza distinzione tra i sessi, e molto spesso l’imbarazzo per questa condizione è aumentato dalla consapevolezza di non trascurare l’igiene orale.
In realtà non sempre spazzolino, dentifricio e collutori sono efficaci per combattere l’alito cattivo. E’ importante approfondirne le cause che a volte originano da particolari patologie, ad esempio epatiche, ma molto più spesso sono di origine gastrointestinali e dipendono direttamente dalla dieta.

L’odore del cibo

L’A.D.A., associazione dei dentisti americani, ha presentato più di uno studio scientifico a prova del fatto che il nostro alito è fortemente influenzato dall’odore del cibo che ingeriamo fintantoché il cibo stesso non è stato completamente digerito.
Questo tipo di alitosi è quindi legata a digestioni complicate o difficili. Per combatterla è assolutamente consigliata una dieta sana, povera di grassi e sopratutto di spezie che hanno la proprietà di potenziare l’azione dei batteri nella bocca e, inevitabilmente, l’alito.

Rimedi falsi e veri

Oltre ad una disputa ancora molto accesa tra chi sostiene che lo yogurt sia un ottimo rimedio contro l’alitosi e chi ritiene vero l’esatto contrario, vengono proposti diversi rimedi, o presunti tali, che vanno dalla prescrizione di mangiare un avocado ad ogni pasto, al bicchiere d’acqua con un cucchiaino di aceto di mele e miele.
In realtà l’utilità di questi rimedi non è provata e l’A.D.A. ritiene che il rimedio più efficace sia sempre bere almeno un paio di litri al giorno di acqua

L’importanza della salivazione

Un’altra causa di alitosi è la scarsa salivazione o xerostomia, secondo la definizione medica. E’ un fattore predisponente ed è necessario combattere la scarsa salivazione sopratutto con la dieta ed abbandonando abitudini di vita che la favoriscono.

Per quanto riguarda la dieta gli esperti consigliano di evitare cibi salati e zuccheri semplici che favoriscono la riduzione della salivazione.

Per quanto riguarda le abitudini sbagliate, il fumo è fortemente sotto accusa. Oltre ad essere la causa più importante di riduzione della salivazione, la nicotina ha l’effetto di potenziare la carica batterica che costituisce la placca che, infatti, è sempre più consistente nei fumatori. La diminuzione della salivazione e l’alterazione degli enzimi che compongono la saliva comportano una minor efficienza della funzione di risciacquo della saliva stessa.

Potrebbe sembrare un paradosso ma anche l’utilizzo eccessivo di sostanze disinfettanti, come collutori a base di estratti antisettici, potrebbe influire negativamente sull’alitosi: molte sostanze disinfettanti sono infatti costituite da molecole a basso peso molecolare che hanno azione astringente e determinano una diminuzione della saliva.

Noi di Adec siamo sempre molto attenti all’uso dei collutori e dei prodotti disinfettanti e detergenti. Venite a chiederci quali sono i prodotti più salutari e quali i dosaggi più indicati e le modalità di utilizzo. Se avete problemi di alitosi o volete evitarli in futuro potete passare in Adec salute e chiedere un consiglio o una dieta personalizzata ai nostri nutrizionisti.

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Fluoro per bambini

La prevenzione della salute dei denti nei bambini è da molti anni una delle questioni più dibattute tra genitori, pediatri ed odontoiatri pedodontisti.

Il fluoro per la salute dei denti

Il problema non è se dare o non dare fluoro, ma in quale forma farlo assumere ai bambini fin da quando iniziano a spuntare i primi denti da latte.

Che il fluoro faccia bene è una scoperta risalente alla metà degli anni 40. Agli inizi degli anni 50 in America fecero un primo esperimento di massa arricchendo di fluoro le acque potabili di alcune cittadine. Il risultato fu che i bambini di quelle zone presentavano una diminuzione delle carie del 50% rispetto a quelli residenti in zone dove le acque non erano state arricchite.

Oggi le conoscenze sono molto più avanzate e nessuno si sognerebbe di arricchire le acque potabili con il fluoro sia perché alcune acque sono più ricche di fluoro di altre, sia perché i dentifrici già contengono fluoro in varie quantità e si sa anche che l’eccesso di fluoro è dannoso per i denti perché può provocare la fluorosi, riconoscibile da macchie chiare sullo smalto.

Meglio il dentifricio, ma…

Le nuove linee guida per la salute orale in età evolutiva emanate dal Ministero della Salute consigliano l’uso di dentifricio a modesto contenuto di fluoro ( 100 ppm- parti per milione) piuttosto che di integratori come gocce o pastigliette, fin dai 6 mesi d’età.

Ma appunto qui si presentano i problemi.

Primo fra tutti: come fare ad insegnare a bambini molto piccoli a lavare i denti?

Come tener conto delle eventuali maggiori predisposizioni alle carie?

Come accertarsi che i bambini lavino i denti correttamente almeno 2 volte al giorno, quando sono in età scolare e nelle nostre scuole è pressoché impossibile accertarsi che i bambini effettuino una corretta igiene orale?

Per questo le linee guida del Ministero della Salute contemplano la possibilità di ricorrere agli integratori quando non è possibile accertarsi che l’uso di spazzolino e dentifricio sia costante ed adeguato .Gocce o pastiglie vanno utilizzate secondo questi dosaggi:

da 6 mesi ai 3 anni 0,25 mg al giorno di fluoro in gocce;

da 3 a 6 anni 0,50 mg al giorno di fluoro in gocce o pastiglie;

Dopo i 6 anni scatta “l’obbligo”: “La fluoroprofilassi viene effettuata attraverso l’uso di un dentifricio contenente almeno 1000 ppm di fluoro, due volte al giorno.”

Le stesse quantità di fluoro vengono consigliate, in aggiunta al dentifricio, ai bambini fino ai 6 anni per i quali sia accertata una maggiore predisposizione alle carie.

I fattori di rischio carie per i bambini

La carenza di fluoro ovviamente e poi lo zucchero. Il comune zucchero da cucina è il peggior nemico della salute dei denti, seguito dalle abitudini al consumo di carboidrati, in quanto fermentabili, lontano dai pasti.

Una corretta igiene orale, insegnando ai bambini a lavarsi bene i denti, resta sempre il miglior strumento di prevenzione della salute orale.

E’ importante però che i genitori assistano sempre i propri bambini sia per controllare che l’igiene sia svolta bene, insegnando i giusti movimenti per impedire un uso eccessivo del dentifricio che i bimbi tendono ad ingoiare. A questo proposito è molto importante insegnare ai bambini a sciacquare bene la bocca sputando il dentifricio ed a controllare che ci sia pochissimo dentifricio sullo spazzolino.

Adec ritiene così importante l’igiene orale dei bambini che da tempo organizza specifici corsi dedicati ai bambini in giorni ed orari il più possibile compatibili con le esigenze dei genitori. Per informazioni basta telefonare al nostro studio o inviare una email all’indirizzo info@adec.it

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Apnee notturne e obesità

Le apnee notturne sono una condizione patologica che desta sempre più preoccupazioni, sia per l’aumento costante documentato in questi anni sia per le conseguenze sopratutto sui bambini visto che le apnee sono accompagnate da una diminuzione della saturazione di ossigeno.

Cosa sono le apnee notturne?

L’apnea è una sospensione del respiro, lunga diversi secondi. Si parla di sindrome delle apnee notturne quando questi episodi si verificano durante il sonno e per un numero ripetuto di volte, almeno 10 per gli adulti e 5 per i bambini.

Le apnee notturne possono essere causate da problemi di stenosi e occlusione delle vie aeree, ipotirodismo, ipertensione, assunzione di sedativi ma anche, come dimostrano recenti ricerche scientifiche, dall’obesità. I ricercatori stimano che il 70% dei pazienti affetti da apnee notturne sia obeso.

Come posso riconoscere i sintomi?

Uno dei sintomi più comuni è il russamento, fenomeno che interessa il 60% dei maschi ed il 40% delle femmine dai 60 anni in su.

Russare è associato alla sindrome delle apnee notturne nella quasi totalità dei casi.

Altri sintomi da non sottovalutare vanno dalla difficoltà di addormentarsi alla sonnolenza giornaliera fino a difficoltà con la memoria.

Il legame tra apnee notturne ed obesità

I risultati forniti da uno studio della clinica finlandese Oivauni Sleep Clinic in Finlandia, dimostrano che perdere peso sarebbe utile per alleviare i sintomi dell’apnea notturna.
La sindrome delle apnee notturne è detta di tipo ostruttivo, cioè dovuta a stenosi od occlusione delle vie aeree. Nelle persone in sovrappeso il restringimento delle vie aeree è dovuto all’eccessivo accumulo di tessuto adiposo intorno al collo.
Lo studio finlandese ha preso in considerazione un campione di 57 pazienti in sovrappeso affetti da apnee notturne. Un primo gruppo di volontari è stato sottoposto ad uno specifico programma per perdere peso mentre un secondo gruppo non ha seguito il programma ed è stato utilizzato come gruppo di controllo.
Lo studio, dopo verifiche e follow-up durati 4 anni, ha dimostrato che già con una perdita di peso del 5% si sono ottenuti significativi miglioramenti nell’apnea.

Quali terapie?

La terapia più comunemente usata oggi è la terapia ventilatoria notturna a pressione positiva, mediante uso delle CPAP, “continuous positive airways pressure”.
La terapia mediante CPAP prevede l’uso di un apparecchio che fornisce aria,di solito a pressione costante, al quale il paziente si collega, prima di andare a dormire, con una maschera nasale.
È una terapia che funziona ma ha lo svantaggio di essere piuttosto invasiva.
Noi di ADEC ci occupiamo di pazienti con problemi di russamento e di apnee con i nostri specialisti, gnatologi come la dr.ssa Giulia Borromeo ed ortodonzisti come il dr. Enzo Pasciuti, proponendo soluzioni molto meno invasive, come un semplice byte personalizzato, dei quali abbiamo verificato la grande efficacia nel ridurre o far scomparire del tutto i problemi delle apnee notturne.

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Filo interdentale

Non basta utilizzare, anche bene, lo spazzolino per assicurarsi una corretta ed efficace igiene dentale quotidiana. E’ assolutamente indispensabile, dopo lo spazzolino, utilizzare il filo interdentale la cui azione è fondamentale per la salute dei denti e delle gengive.

Il filo interdentale, sicuramente lo strumento più efficace utilizzabile da tutti si è diffuso da noi in anni recenti ma, in realtà, è molto più vecchio di quanto si possa credere.

Il primo dentista a teorizzarne l’utilità fu il dr. Levi Spear Parmly, di New Orleans, nel lontano 1815. Non essendoci prodotti disponibili il dr. Parmly consigliava ai suoi pazienti di utilizzare un filo di seta.

La produzione industriale iniziò alla fine dell’ottocento ma il filo era sempre ottenuto dalla seta e la diffusione rimase molto limitata almeno fino al periodo della prima guerra mondiale.

In quegli anni venne brevettato e commercializzato il primo filo di nylon, che si rivelò più efficace e più facilmente utilizzabile facilitandone la diffusione.

Oggi ci sono diverse tipologie di filo interdentale tutte fatte con materiali ecologici e biodegradabili.

Ecco 5 validi motivi per usare sempre il filo interdentale:

1) Il filo interdentale passa negli spazi tra un dente e l’altro raggiungendo zone non accessibili allo spazzolino.

2) Rimuove pezzi di cibo incastrati tra i denti , difficilmente visibili e non raggiungibili dallo spazzolino.

3) La sua azione permette di rimuovere la placca batterica ed evitare la formazione del tartaro che, se presente, non può essere rimosso se non dal vostro igienista.

4) Il filo interdentale grazie alla sua azione di rimozione dei batteri che formano la placca da un importante contributo alla vostra salute perché l’infezione batterica della bocca è causa di forti stress per l’organismo e non solo è responsabile di gravi patologie odontoiatriche come la parodontite ma, come confermato da recenti studi aumenta il rischio di ictus l’insorgere di ictus e malattia cardiaca.

5) Grazie alla sua azione il filo interdentale mantiene sane e belle le gengive dando un grande contributo all’alito ed alla bellezza del vostro sorriso.

Se volete usare il filo ma non siete sicuri di saperlo fare bene, o volete sapere quale tipo scegliere non temete di chiedere, noi di Adec siamo attentissimi alla prevenzione e saremmo felici di aiutarvi.

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Parodontite e disfunzione erettile

Una ricerca alquanto curiosa ma da prendere in considerazione, visto che è riportata dal Journal of sexual medicine, arriva dalla Turchia ed associa problemi di disfunzioni erettili ad infezioni croniche del cavo orale.

Effettuata dai ricercatori dell’Università di Inonu, dimostra che la possibilità di venire colpiti da questo disturbo è 3 volte superiore nei maschi con problemi di parodontite rispetto a chi non presenta questa infezione.

Per quanto il campione, composto da 80 uomini affetti da parodontite ed altrettanti sani, non sia da considerarsi particolarmente significativo e dopo aver corretto i dati tenendo conto dei fattori socio ambientali quali condizioni di vita, livello di istruzione, benessere sociale etc, è risultato che i maschi affetti da patologia parodontale hanno una probabilità 3,29 volte maggiore di venire colpiti da disfunzioni erettili rispetto a chi non ne è affetto.

I problemi vascolari
Il collegamento che porta a quanto affermato dai ricercatori turchi sta nei problemi vascolari che possono essere indotti dall’infezione parodontale ed il fatto che i 2/3 dei maschi affetti da disfunzione erettile hanno anche problemi vascolari come le coronaropatie.

L’affermazione ha un certo fondamento anche se sarebbe opportuno uno studio su un campione più significativo.